Incontro con… Pasquale Finicelli

25970_1277239209133_1174568875_30686003_5296529_n1

È stato uno dei volti più popolari e amati della Tv degli anni 80. Tra l’86 e l’88 ha interpretato Mirko dei Bee Hive nelle quattro fortunatissime serie di telefilm di Licia con Cristina D’Avena, nate sulla scia della serie animata, divenuta oggi un cult, “Kiss me Licia”. A distanza di 24 anni dall’ultima serie abbiamo incontrato il protagonista maschile, Pasquale Finicelli.

Come si svolse il provino per il quale sei stato scelto per interpretare il ruolo di Mirko nella serie “Love me Licia”?

Ero a Milano per sostenere dei colloqui con alcune agenzie di moda e di spettacolo e fu un caso che mi trovai da Caremoli, che stava cercando un personaggio che avesse proprio i miei requisiti. Fu così che mi scelsero per il ruolo di Mirko.

Alessandra Valeri Manera, responsabile del settore ragazzi dell’allora Fininvest, nonché ideatrice della serie e autrice di tutti i testi delle canzoni presenti all’interno dei telefilm, era presente sul set? Che rapporto avevi con lei?

Alessandra era sempre presente sul set ed era esigente, severa e molto attenta, in quanto era un programma rivolto ad un pubblico di bambini e adolescenti. Con lei sono andato sempre d’accordo, infatti quando terminò la serie mi propose altri progetti con grande insistenza ma poi le cose, per mia scelta, andarono in un altro modo purtroppo.

Il successo di “Love me Licia” fu davvero grande, tanto da farne seguire altre tre serie. Come l’hai vissuto quel periodo?

E’ stato un bellissimo momento della mia vita, mi divertivo, ero spensierato e felice. Poi essere amato dai bambini era per me l’emozione più grande. Mediaset oggi non crede più nella tv dei ragazzi, tant’è che l’ufficio responsabile della fascia è stato eliminato. Secondo te, di base c’è una mancanza di idee o difficoltà nel mettere a disposizione i budget di un tempo?No, non è un problema di budget, ma di cambiamenti della società, basta dare un’occhiata a quello che oggi ci propone la Tv. Dovrebbe ritornare Alessandra Valeri Manera, una che crede ancora nei valori e che pensa ad una tv adatta ai bambini.

Hai conservato i contatti con gli attori della serie?

Si, certo! Con qualcuno mi vedo più spesso, con altri ci sentiamo via Skype, dato che vivono in America. L’anno scorso con il nome “Bee Hive Reunion” abbiamo fatto un piccolo tour nelle principali città d’Italia. E’ stata una vera sorpresa il riscontro e l’affetto che il pubblico ci ha dimostrato. Contiamo, entro l’autunno, di replicare. Per tutte le novità basta collegarsi ai nostri siti http://www.beehive.it e http://www.beehivereunion.com.

Sul set, era davvero così idilliaco il tuo rapporto con Licia/Cristina D’Avena?

Si, il clima che si respirava all’interno della serie era lo stesso che si viveva sul set e dietro le quinte. Eravamo davvero molto affiatati.

Cosa guardi oggi in tv? Che genere preferisci?

Guardo un pò di tutto, tranne i reality e i programmi dove non si fa altro che litigare. Mi piacciono molto i documentari sulla natura e di approfondimento culturale in generale e poi amo le serie poliziesche.

Ti piacerebbe ritornare a lavorare in tv o per te è stata solo una piacevole parentesi?

Certo che mi piacerebbe tornare in tv e mi piacerebbe proprio fare quello che manca oggi, un programma vero per bambini e adolescenti, dove si possa dare un messaggio positivo, pieno di sogni e amore.

Se ti proponessero di partecipare ad un reality accetteresti?

L’unico reality che avrei accettato volentieri sarebbe stato “MusicFarm” e forse “L’isola dei Famosi” per il mio spirito avventuriero e amante della natura, anche se so che è molto dura.

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “Luci della Ribalta” nel Maggio 2012)

Anna Fougez, la donna che si fece soubrette

02-Anna Fougez

Signori, vi si presenta già per danzar, per cantar, Anna Fougez! Al suono di queste parole al ritmo di una marcetta, appariva in tutto il suo splendore, bella, inarrivabile, inaccessibile, coperta di gioielli, perle e piume di struzzo, la più grande soubrette che l’Italia abbia mai conosciuto nel periodo tra gli anni 20 e 30. Anna Pappacena, in arte Anna Fougez, nata il 9 luglio del 1894 a Taranto, è stata la stella più luminosa dei palcoscenici italiani, la più ammirata, la più imitata, la più pagata. All’apice del suo successo, riusciva a guadagnare anche 2.000 lire a sera. Con la sua bellezza, i suoi occhi cerulei, le sue movenze sensuali, scandite da una voce che riusciva a turbare uomini e donne, Anna Fougez è stato il simbolo della voluttà, del fascino, oggi diremmo del glamour. Debuttò all’età di 8 anni incoraggiata dagli zii, i quali se ne erano preso cura dopo la prematura morte dei genitori. Già a 15 anni si esibì in coppia col grande Ettore Petrolini, con il quale pare ci sia stato anche un flirt. Si racconta che a 16 anni la Fougez si cucisse sui rammendi delle proprie calze delle paillettes e che ad inizio carriera fosse solita avvolgersi intorno al collo due pellicce di lepre, acquistate con pochi soldi, spacciandole per pregiate volpi. Nel periodo in cui la Fougez iniziò il suo percorso artistico, furoreggiavano in Italia Elvira Donnarumma, Armando Gill e Pasquariello. La giovane Anna, grande ammiratrice della famosa chanteuse Eugine Fougere, scelse di chiamarsi Fougez proprio in omaggio alla celebre artista parigina. Oltre ad essere una grandissima artista, la Fougez era anche una donna molto intelligente. L’estroso Filippo Tommaso Marinetti la proclamò perfino stella futurista. Grande innovatrice e rinnovatrice, si inventò la figura di soubrette, che soppianterà per sempre quella classica di chanteuse, ormai superata. In alcuni numeri era solita vestirsi con attillatissimi abiti maschili, come ad esempio per le esecuzioni di numerose canzoni napoletane di “giacca” che aveva in repertorio, rivelandosi squisita interprete di questo genere. Negli allestimenti dei suoi spettacoli, si occupava delle musiche, delle coreografie, dei costumi, delle scenografie. E’ stata la prima ad usare la classica e lunga scalinata al centro del palco, divenuta poi simbolo del Varietà, che le permetteva di scendere in proscenio in modo regale, cantando i suoi più grandi successi. La sua personalità, la sua provocante eleganza, la sua signorilità e la sua fama esplosero nel 1925 con la canzone scritta appositamente per lei da Ennio Neri, “Il fox-trot delle piume”. Ma forse il suo più grande successo resta “Vipera”, scritta per lei da E. A. Mario. Di questo pezzo esiste l’incisione originale della Fougez realizzata nel 1919. Ancora oggi se ne possono apprezzare le grandi doti vocali e soprattutto espressive. Il pezzo di E. A. Mario è fortemente legato alla figura della Fougez; una canzone che le ha regalato per sempre quella aura di mistero, di femme fatale che l’ha resa unica. Tra i palcoscenici italiani più importanti che la videro protagonista sono sicuramente da ricordare la Sala Umberto I di Napoli, l’Ambra Jovinelli di Roma e il Gambrinus di Milano. Ma il suo nome resta legato indissolubilmente a Napoli, grazie ai grandi trionfi e i successi che le tributò il pubblico partenopeo. Uno dei luoghi culto del Varieté in cui si esibiva è il Salone Margherita, l’elegantissimo cafè chantant di Napoli, simbolo della Belle époque italiana, inaugurato il 15 novembre del 1890 alla presenza di principesse, uomini politici e giornalisti come Matilde Serao. Anna Fougez è addirittura considerata napoletana d’adozione anche per le numerose canzoni napoletane incise per l’antica etichetta discografica “Phonotype Record”, come la famosa “A tazza ‘e cafè”, che lanciò e portò al successo. Ma la sua fama presto valicò i confini nazionali per brillare in tutta Europa, soprattutto a Parigi, arrivando ad esibirsi nel tempio del cafè chantant, le “Folies Bergère”. Nella “ville lumiere” conquistò tutti con la sua bellezza e con la sua voce, ma anche con i suoi elegantissimi e bellissimi abiti e i costosissimi gioielli che le regalavano facoltosi ammiratori. Anna Fougez ha dimostrato la sua grandissima intelligenza anche nel momento in cui abbandonò per sempre le luci della ribalta. Nel 1940, all’età di 36 anni decise di mettere fine alla propria carriera. Aveva capito che di lì a poco sarebbe potuta essere messa da parte da una giovane nuova soubrette e quindi lasciò le scene prima che questo accadesse. Così facendo è riuscita a tenere vivo nel ricordo dei suoi ammiratori il mito, la leggenda. Lasciato il palcoscenico si ritirò a vita privata con suo marito, il ballerino Renè Thano, a Santa Marinella, un paesino in provincia di Roma, in una villa piena di ricordi e cimeli. Nel corso degli anni, tanti impresari importanti, come ad esempio Remigio Paone, cercarono di riportarla sulle scene, ma lei non cedette mai. Gelosa e felice della tranquillità della sua nuova vita non installò in casa nemmeno l’apparecchio telefonico. Ha lasciato i suoi ricordi di donna e di artista nelle pagine di un’autobiografia dal titolo “Il mondo parla e io passo”, che subito dopo la pubblicazione ordinò di ritirare dal mercato, così da rendere rarissimi e costosissimi i pochi esemplari oggi in circolazione. Si spense nel 1966, all’età di 72 anni.

Eduardo Paola

Madame Dalida

155253_4254110122514_477271433_n

Il suo nome sembra quasi una formula magica, quelle formule che basta pronunciare per tramutare le cose brutte in cose meravigliose. Ed è stato proprio così per Yolanda Gigliotti, in arte Dalida. Come per un incantesimo, la ragazzina nata e cresciuta in Egitto diventa star internazionale di prima grandezza. Yolanda Cristina Gigliotti nasce a Choubrah, alle porte de Il Cairo, il 17 gennaio del 1933 da genitori di origine italiana; i nonni erano di Serrastretta, un paesino in provincia di Catanzaro. Il padre Pietro era Primo violino all’Opera de Il Cairo. La sua infanzia felice, in compagnia dei suoi due fratelli, Orlando e Bruno, è turbata solo da un problema congenito agli occhi con conseguente strabismo che la costringerà, nel corso della sua vita, a subire diversi interventi chirurgici. Durante l’infanzia, per lunghi periodi porterà delle bende scure agli occhi e questo la segnerà per sempre, procurandole la fobia del buio, che non l’abbandonerà per tutta la vita, tanto da riuscire a dormire sempre e solo al lume di una lampada accesa. Crescendo, la giovane Yolanda, con i suoi lunghi capelli neri e i meravigliosi occhi, occhi che bruciano di un fuoco ardente, è la tipica bellezza del Sud. Partecipa al concorso Miss Egitto nel 1954 e si classifica prima. Questa vittoria le apre le porte del mondo del cinema. Partecipa a diverse produzioni cinematografiche, come “Le masque de Toutankhamon” e “Un verre, une cigarette”. Ma il mondo dello spettacolo egiziano è troppo piccolo per le grandi ambizioni della “ragazza di fuoco”, appellativo con il quale un giornalista usò definirla in un famoso articolo nel ’59 nel noto settimanale “Tv Radio Corriere”. Così Yolanda decide di fare il grande salto e di lasciare il suo amato Egitto e gli anni felici della sua giovinezza per partire alla volta di Parigi e tentare la strada del cinema. Il 25 dicembre del 1954, con la testa piena di sogni e piena di ambizioni, arriva nella magica “ville lumiere” e prende casa nei pressi degli Champs-Élysées. I primi tempi sono duri, passando da un provino all’altro, ma la giovane e testarda ragazza, animata da una fede e una determinazione incrollabili, aspetta il suo momento. Quel momento sarebbe arrivato di lì a poco. Nel 1956 adotta il nome d’arte di Dalida ed incide, grazie al suo pigmalione Lucien Morisse, che diventerà in seguito suo marito, il suo primo brano, “Madona”, cover del brano “Barco negro” di Amalia Rodriguez; ma il brano che la lancia in vetta alle classifiche è “Bambino”, cover della canzone napoletana di Aurelio Fierro “Guaglione”. Per i francesi è amore a prima vista per la bella ragazza italiana che viene dall’Egitto. Forte delle sue origini, la cantante porta al successo sul mercato francese tantissime canzoni italiane, soprattutto napoletane come “Scapricciatiello”, “Lazzarella”, “’O sole mio”, “Chella llà” e tantissime altre. Dalida si può considerare l’artista dei record avendo inciso più di 2000 canzoni in sette lingue diverse, compresi giapponese e russo. Ha venduto 170 milioni di dischi nel mondo. Per lei è stato istituito il disco di diamante, che le viene consegnato per i 65 milioni di album venduti in tutto il mondo, oltre ai 55 dischi d’oro e altri svariati dischi di platino. Ha tenuto tournée trionfali in ogni parte del mondo, in paesi come il Canada, gli Stati Uniti, la Germania. Ha ottenuto diverse onorificenze, come la medaglia della Presidenza della Repubblica Francese ricevuta dalle mani del Generale De Gaulle; nessun altro artista ha mai ricevuto questo riconoscimento. Nel 1981 riceve in Germania il Goldene Europa per essere la star più popolare dell’anno. Dalida, pur vivendo stabilmente a Parigi, non spezza mai il suo legame con l’Italia, la sua amata terra d’origine, che le regala tantissime soddisfazioni e grandissimi successi, ma che sarà anche fonte di immensi dolori, come la tremenda tragedia che avvenne quel maledetto 27 gennaio 1967, giorno in cui Luigi Tenco fu trovato morto nella sua camera d’albergo. Dalida, che in quell’anno partecipava al 17° Festival di Sanremo in coppia proprio col giovane cantautore genovese col brano “Ciao amore ciao”, fu segnata per sempre da questo orrendo episodio e forse fu proprio da quella brutta esperienza che cominciò a crescere in lei il suo male di vivere, che la portò a compiere diversi tentativi di suicidio, fino a quando riuscì a dar fine alla sua vita il 3 maggio 1987, lasciando un tragico e breve messaggio con queste parole: “perdonatemi, la vita mi è insopportabile”. Ed è proprio dopo la tragedia della morte di Tenco che Dalida diviene ancora più popolare in Italia. Vince “Partitissima” con “Dan dan dan” ed ha diversi brani in classifica come “Bang bang”, “L’ultimo valzer”, “Oh Lady Mary”, “Nel 2023”. Ma piano piano le sue apparizioni in Italia finiscono per essere sempre più rare. Dopo il 1974, anno in cui è impegnata per la promozione dei brani “18 anni” e “Gigi l’amoroso”, torna in Italia solo nell’ 81 e per l’ultima volta, nell’ 84. Come è accaduto ad altri grandi artisti, anche per Dalida in Italia viene messa in giro la terribile calunnia che portasse sfortuna. Dalida è così ferita e amareggiata da questa maldicenza che finisce per non tornare più nella sua amata e amara Italia. A distanza di 27 anni dalla sua morte, il mondo continua a ricordarla e a cantare le sue canzoni. Tantissime sono le iniziative a suo nome e a Parigi qualche anno fa le è stata dedicata una piazza. Dalida oggi è più viva che mai nel ricordo e nei cuori di milioni di ammiratori in tutto il mondo, che continuano a ripetere le parole che Claude Manceron pronunciò nel giorno del suo funerale a nome del Presidente della Repubblica, François Mitterrand: “Yolanda, addio. Dalida, grazie”.

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “L’Espresso Napoletano” nel numero di Settembre 2014)