Libertà, trasgressione, ambiguità: è questo quello che ha incarnato ed incarna ancora oggi Marlene Dietrich. Nel corso della sua lunga carriera ha recitato in oltre 50 film, oggi ne ricordiamo frammenti indimenticabili, visioni di bellezza mozzafiato, immagini sfolgoranti, ma raramente le pellicole per intero. Quello che è rimasto oggi di Marlene è soprattutto il suo mito. Più che una donna, un ideale, più che un ‘attrice, un’icona. L’immagine che tutti noi abbiamo della grande diva è fortemente legata a Josef von Sternberg, il regista che la diresse in sette film e che le disegnò addosso il personaggio che interpretò per tutta la vita. Marlene nei film diretti da Sternberg incarna sempre la stessa tipologia di donna, rappresentando l’immagine stessa dell’amore, fatta per l’amore dalla testa ai piedi, proprio come cantava nel film che l’ha resa celebre in tutto il mondo, “L’angelo azzurro”. Con “L’angelo azzurro”, primo film sonoro del cinema tedesco, le si aprono le porte di Hollywood. Il film viene girato simultaneamente in tedesco e in inglese e i costumi sono disegnati dalla stessa Marlene. Per capire il rapporto che lega il regista con la sua creatura è necessario osservare il modo in cui la dirige e la trucca. Sternberg lavora su Marlene trasformandola. Tra le riprese de “L’angelo azzurro” e quelle del successivo film, “Marocco”, l’immagine della Dietrich è fortemente modificata, le vengono cambiati il colore dei capelli e il trucco e con le luci le si accentuano il pallore del viso e le guance scavate, ma soprattutto Sternberg le insegna come comportarsi davanti ad una macchina da presa. In “Marocco”, del 1930, gioca con la sua mascolinità e col piacere che l’attrice prova ad indossare abiti maschili. Nella scena in cui Marlene bacia una donna (primo bacio omosessuale del cinema) il regista vuole proprio enfatizzare la sua ambiguità. Dopo questo sodalizio artistico che è stato irripetibile, la Dietrich viene diretta dai più grandi, come Billy Wilder, Alfred Hitchcock e Orson Welles. Se sul grande schermo il mito di Marlene incarnava la sensualità, la femme fatale, la fiamma ardente del peccato, in realtà, ella aveva una concezione tutta particolare dell’amore, diceva “ama per la gioia di amare e non per ciò che ti offre il cuore di un altro”. Non le interessava l’amore fisico, per lei il sesso era qualcosa di estraneo, quasi dovuto alle insistenze dell’uomo. Più che gli uomini, adorava i gesti dell’amore, le parole, la messa in scena dell’amore, questo spiegherebbe la sua intensa storia d’amore con lo scrittore tedesco Erich Maria Remarque, che la sera stessa in cui si conobbero le confessò di essere impotente. Marlene definiva il loro amore sublime, come l’amicizia amorosa con Ernest Hemingway, un amore platonico, oltre l’orizzonte. Quando nel 1930 lascia la Germania per Hollywood, la Paramount la lega a sé per sette anni e da allora i rapporti con la sua patria d’origine saranno sempre conflittuali, soprattutto nel momento in cui Hitler sale al potere. Quando il conflitto sta per travolgere il mondo, si schiera con tutte le sue forze contro il Terzo Reich, diventa madrina di guerra al fianco degli americani, canta per i soldati nelle trincee suscitando entusiasmo e passione con le sue esibizioni. Vive il suo impegno come una vera e propria missione politica e artistica. Quando la Germania si arrende, Marlene entra dalla porta di Brandeburgo con la divisa americana. I tedeschi non la perdoneranno mai. Quindici anni dopo, durante una tournée a Berlino, i fischi le lasciano un segno indelebile, non tornerà mai più in patria se non per essere sepolta. Quando la sua carriera cinematografica comincia ad avere qualche battuta d’arresto, Marlene non si dà per vinta, così si reinventa cantante dando il via ad una vera e propria seconda vita artistica. Tutto ha inizio il 15 dicembre del 1953, quando al Sahara Hotel di Las Vegas va in scena il primo di una lunga serie di spettacoli dal vivo della Dietrich. Trentamila dollari alla settimana per venticinque minuti di concerto. Come Sternberg la plasmò per il cinema così per questa seconda nuova vita artistica è Burt Bacharach a modellarla e cucirle addosso lo spettacolo che porta in giro praticamente per tutto il mondo. Marlene ben conosce i suoi limiti vocali e così punta tutto sull’immagine, sull’impatto scenico e sul carisma della sua figura. Meravigliosi gli abiti, prima d’argento poi d’oro e leggendaria la sua pelliccia, in realtà un manto di cigno, ben duemila cigni ne servirono per confezionarla. Doveva avere l’aspetto di una pelliccia ma possedere la leggerezza di una piuma. Ci furono anche due tappe italiane di questo show rimasto nella storia , uno nel 1963 a Taormina e l’altro nel 1972 alla “Bussola”. Il pubblico in delirio accompagna Marlene per oltre vent’anni in giro per il mondo, fino al 1975 quando una brutta caduta con conseguente frattura del femore le impedisce di iniziare il suo spettacolo, da quel momento non appare più in pubblico. Successivamente, solo un piccolo ruolo in quello che sarà il suo ultimo film, “Gigolo”, del 1978 e poi più nulla. Marlene ci lascia il 6 maggio del 1992, all’età di 91 anni, dopo 15 di clausura forzata, inchiodata nel letto della sua casa di Parigi. Si dice che fu lei stessa a volersene andare chiedendo alla sua segretaria un intero tubetto di sonniferi. Morire durante il festival di Cannes poteva sembrare una sua tipica trovata, con gli attori che avrebbero lasciato il red carpet per andare a Parigi al suo funerale, ma i tempi ormai erano cambiati e a dare l’estremo saluto all’angelo azzurro c’erano solo pochi amici e qualche fan.
Eduardo Paola
(Articolo pubblicato su “Sussurri & Grida” nel numero di Settembre 2011)