Montgomery Clift, divo bello e maledetto

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Capostipite dei belli e maledetti, prima dei James Dean e dei Marlon Brando, Montgomery Clift ha rappresentato il disagio giovanile e il vuoto esistenziale della generazione del secondo dopoguerra. Il suo è sicuramente uno dei volti più sofferti e tristi che il grande schermo abbia mai visto. Prima di lui Hollywood era stata sempre e solo rappresentata come un mondo dorato, dove i divi e le dive vivevano una vita quasi ultraterrena. Da sempre anima irrequieta e tormentata, Montgomery Clift da chi lo conosceva a fondo veniva descritto come solitario, introverso, sfuggente, intenso e disperato. Marilyn Monroe di lui disse “E’ la sola persona che conosca che sta peggio di me”. La difficoltà nel vivere serenamente la propria omosessualità fu la sua principale nevrosi e il suo malessere traspariva dai bellissimi occhi verdi, luminosi e innocenti come quelli di un bambino. Proveniente da una famiglia benestante, ebbe la possibilità di costruirsi un’ottima formazione culturale, grazie anche ai suoi viaggi in Europa. Da bambino soggiornò a lungo in Italia, tra Milano, Firenze, Roma e Napoli. Si sentiva fortemente europeo, legato ai momenti più belli della sua vita vissuti proprio in Italia, dove fece ritorno nel 1950, quando Vittorio De Sica lo volle nel film “Stazione Termini” con Jennifer Jones. Uno dei luoghi campani al quale fu più legato fu Paestum, l’antica città della Magna Grecia che lo affascinò per i suoi magnifici scenari fatti di antichi templi e splendido mare. A soli tredici anni fece il suo primo ingresso sulle tavole del palcoscenico, poi i primi ruoli importanti a Broadway e il fortunato incontro con i grandi attori Alfred Lunt e Lynn Fontanne, che lo avviarono alla carriera d’attore. Il suo debutto cinematografico avvenne nel 1948 accanto a John Wayne nel film “Il fiume rosso”, che lo rivela interprete di altissimo livello, soprattutto grazie alla sua recitazione completamente nuova che prediligeva più i gesti e la mimica che i dialoghi. In pochissimo tempo conquistò una grandissima popolarità e un vastissimo successo in tutto il mondo. L’anno successivo, nel 1949, interpretò il suo primo ruolo importante, quello dell’avido cacciatore di dote Morris Towsnsend, nel film capolavoro di William Wyler “L’Ereditiera”, con Olivia De Havilland. Altro ruolo celebre fu quello di George Eastman del 1951 nel film “Un posto al sole” con Elizabeth Taylor, con la quale interpretò anche i film “L’albero della vita” e “Improvvisamente l’estate scorsa”. Tra le altre pellicole importanti alle quali partecipò ricordiamo “Io confesso” di Alfred Hitchcock, “Da qui a l’eternità” con Burt Luncaster e “Gli Spostati” di John Huston, con Clark Gable e Marilyn Monroe. Montgomery Clif legò forti amicizie nell’ambiente di Hollywood; tra i rapporti più significativi ci fu sicuramente quello con Elizabeth Taylor, una delle pochissime donne che accettò di far entrare nella propria vita. L’incontro tra i due avvenne sul set del film “Un posto al sole”. Fin dal primo incontro la Taylor rimase folgorata dal fascino irresistibile di Clift innamorandosene perdutamente. Dopo aver appreso delle preferenze sessuali del bell’attore – si racconta che Clift, proprio per dissuadere la Taylor, si facesse accompagnare sul set da un ragazzo francese – la diva riuscì a trasformare il suo amore in un infinito affetto. Nel 1957, durante le riprese del film “L’albero della vita”, Montgomery Clift ebbe un gravissimo incidente d’auto che lo segnò per tutto il resto della vita. L’attore andò a sbattere con la sua auto contro un palo telefonico; molti parlano di un tentato suicidio dopo un’incomprensione con il giovane attore Kevin McCarthy che considerava il suo amico e confidente più intimo. Tra i primi che soccorsero Clift ci fu la sua eterna amica Elizabeth Taylor, che lo trovò col volto tutto coperto di sangue, un volto che non tornò mai più come prima. Fortemente segnato nell’espressione degli occhi e parzialmente immobilizzato, Clift non si riprese mai completamente, né fisicamente né moralmente. Riuscì comunque ad esprimersi attraverso grandi interpretazioni come quella dell’ ebreo tedesco, sterilizzato dai nazisti perché omosessuale e figlio di comunista nel film sul processo di Norimberga ai crimini nazisti, “Vincitore e vinti” di Stanley Kramer. Gli ultimi anni della sua vita li trascorse tra cure psichiatriche ed in preda agli effetti di alcol e droghe. Nel 1966 era in attesa di girare il film “Riflessi da un occhio d’oro”, ma il 23 luglio dello stesso anno il suo compagno lo trovò cadavere sul letto, stroncato, a soli 46 anni, da un attacco cardiaco. Il suo era un animo troppo sensibile per riuscire a sopravvivere in un mondo dove conta soprattutto apparire. Montgomery Clift aveva tutte le doti degli esseri angelici, ma come scrisse il poeta Robert Frost: non tutti gli angeli hanno le ali.

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “L’Espresso Napoletano” nel numero di Giugno 2014)